Otto Von… CIPAG
Il primo statista a promulgare una legge che assicurava un trattamento previdenziale al
termine della vita lavorativa fu il cancelliere prussiano/tedesco Otto von Bismarck, nel
1889. L’obiettivo di questo primo esempio di Stato assistenziale era quello di alleggerire le
tensioni sociali con la classe operaia. Età per la pensione anni 70 quando la mortalità era
sui 50 anni, quindi un sistema previdenziale perfettamente in equilibrio!
di Avv. Paolo Rosa
Il Comitato dei Delegati di Cassa Geometri, nella seduta del 24 novembre u.s., ha previsto
la possibilità per gli iscritti di anticipare l’accesso alla pensione di vecchiaia rispetto al
requisito di 67 anni di età previsto dall’art. 34, c. 6, del Regolamento di attuazione delle
attività di previdenza ed assistenza a favore degli iscritti e dei loro familiari.
Dal 1° gennaio 2022, infatti, l’iscritto, al compimento dei 60 anni di età e al raggiungimento
di 40 anni di effettiva contribuzione, anziché richiedere il trattamento di anzianità, non più
previsto dall’ordinamento della Cassa, potrà scegliere di andare in pensione con
contestuale riduzione della prestazione in misura proporzionale ai mesi di anticipo.
Tale modifica è soggetta ad approvazione da parte dei Ministeri Vigilanti.
E’ accaduto che in CIPAG, in occasione dell’ultimo Comitato dei Delegati, è stata varata
una riforma strutturale del sistema previdenziale.
In particolare, è stato deliberato di abrogare, a decorrere dal 01.01.2022, l’istituto della
pensione di anzianità di cui all’art. 3 del Regolamento per l’attuazione delle attività di
previdenza ed assistenza a favore degli iscritti e dei loro familiari.
Contestualmente è stata introdotta, all’art. 34, comma 6 bis e 6 ter, del citato regolamento,
la facoltà di anticipare la fruizione della pensione di vecchiaia con calcolo misto di cui
all’art. 34, comma 6, rispetto al requisito anagrafico di 67 anni. Coloro i quali abbiano
maturato 60 anni di età anagrafica e 40 anni di effettiva contribuzione potranno fruire,
infatti, di un trattamento pensionistico anticipato con una riduzione della sola quota di
prestazione calcolata con il sistema reddituale, in misura pari all’1% per ogni mese di
anticipo rispetto al requisito anagrafico di 67 anni di età con una riduzione minima del
12%.
È comunque prevista la salvaguardia dell’importo derivante dall’applicazione del calcolo
contributivo di cui all’art. 33, comma 2, del regolamento e l’accesso al nuovo trattamento è
possibile solo ove l’importo spettante sia almeno pari a 1,5 volte l’importo dell’assegno
sociale di cui all’art. 3, comma 6, della legge n. 335/1995.
Mi dicono che la delibera è stata approvata con 111 voti favorevoli, 31 contrari e 3
astenuti.
La cosa singolare è che si è abrogato un impianto normativo che era in essere da soli due
anni, e cioè dal 01.01.2020.
Chi contava di raggiungere il traguardo pensionistico nell’anno 2022, credo 735 i geometri
coinvolti, si è visto spostare il paletto di ben 7 anni.
Dal 1° gennaio 2022, infatti, salteranno i vecchi parametri e la prospettiva si sposterà sulla
pensione di vecchiaia anticipata (67 anni di età, 35 anni di anzianità contributiva senza
obbligo di fatturato minimo, calcolo misto, retributivo fino al 2009 e poi contributivo).
L’art. 3 del Regolamento sopra citato così recita:
Art. 3
Pensione di anzianità
3.1 La pensione di anzianità è corrisposta a coloro che abbiano maturato i seguenti
requisiti:
a) compimento del sessantesimo anno di età;
b) quaranta anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa ed un pari periodo utile ai
sensi del successivo comma 8.
3.2 Il trattamento pensionistico di anzianità è determinato secondo il sistema di calcolo
contributivo di cui all’art. 1 della legge 8.8.1995, n. 335 e successive modificazioni nel
rispetto del principio del pro-rata in relazione alle anzianità già maturate alla data del
31.12.2006. La misura della quota di pensione calcolata ai sensi dell’art. 2, commi 2 e 3,
non può essere inferiore all’importo di cui al comma 4 del citato art. 2, ridotto in
proporzione agli anni di anzianità contributiva maturati al 31.12.2006.
3.3 Alla pensione come sopra determinata vengono applicati esclusivamente gli
adeguamenti ISTAT nella misura dovuta.
3.4 SOPPRESSO (in conformità a quanto disposto dalla Corte costituzionale con sentenza
n. 137/2006).
3.5 SOPPRESSO
3.6 Coloro che dopo la liquidazione della pensione di anzianità continuano l’esercizio della
professione e i loro superstiti hanno diritto a supplementi di pensione, da erogarsi ogni
quadriennio, dopo il conseguimento del diritto a pensione nonché all’atto della
cancellazione dall’Albo. Ciascun supplemento è determinato secondo il sistema di calcolo
contributivo di cui all’art. 1 della legge 8.8.1995, n. 335.
3.7 SOPPRESSO
3.8 Ai fini del riconoscimento della pensione di anzianità risultano utili gli anni per i quali è
stato raggiunto, a partire dal 1.1.2003, un limite di volume di affari professionale non
inferiore a euro 7.000,00. Detto limite dovrà essere rivalutato ai sensi dell’art. 5 del
Regolamento sulla contribuzione. Per i geometri che iniziano la professione e si iscrivono
per la prima volta alla Cassa, tale limite è ridotto ad un quarto per i primi due anni di
iscrizione ed alla metà per i successivi tre anni. Il beneficio della riduzione è riconosciuto
fino al compimento del trentesimo anno di età.
3.9 Periodicamente la Cassa provvederà ad inviare agli assicurati un estratto conto, in cui
saranno indicate le annualità considerate utili ai sensi del presente articolo, al fine della
concessione del trattamento di anzianità.
Facciamo ora il punto della situazione in ordine ai poteri normativi della CIPAG, dopo la
privatizzazione, avvalendoci del dossier ADAPT University Press di Ilaria Bresciani, 2021.
7.3. Gli esiti dell’analisi giurisprudenziale: soluzioni, effetti e questioni aperte
Volendo effettuare una qualche riflessione sui principi espressi in oltre un ventennio dalla
Corte costituzionale, se non sussistono dubbi in relazione all’attività di natura pubblica
svolta dagli enti privatizzati, se non altro in quanto ciò è espressamente affermato dall’art.
2, comma 1, d.lgs. n. 509/1994, qualche perplessità deriva dall’affermazione per cui non vi
sarebbe ragione di preoccuparsi delle conseguenze che la regola dell’autofinanziamento
avrebbe per gli iscritti in caso di dissesto dell’ente privatizzato, sul presupposto che
sarebbe difficile (se non impossibile) il verificarsi di tale ipotesi disastrosa stante il fatto che
la disciplina legislativa tende proprio a garantire la stabilità finanziaria di lungo periodo
(108).
In realtà, che lo spettro del dissesto esista trova conferma proprio nelle numerose
attenzioni che il legislatore ha dedicato alla questione della stabilità finanziaria e
dell’equilibrio di bilancio, ed è proprio la necessità di operare per scongiurare l’ipotetico
disavanzo che impone di interrogarsi su quali siano, in concreto, i poteri e gli strumenti con
cui gli enti possono salvaguardare e migliorare le proprie gestioni al fine di evitare l’evento
disastroso.
Innanzitutto, fin dalla sentenza n. 15/1999 della Corte costituzionale, è stata attribuita una
portata ampia all’autonomia organizzativa degli enti privatizzati, affermandosi la legittimità
dei vincoli legali di composizione degli organi collegiali, ma solo per la prima fase della
trasformazione, ammettendo che nel prosieguo della vita dell’ente questo possa
modificare tali regole attraverso una revisione del proprio atto statutario, appunto, secondo
le norme del diritto privato.
A partire dal nuovo millennio, le pronunce della Corte sono state orientate a riconoscere
una più ampia portata all’autonomia delle Casse privatizzate dal d.lgs. n. 509/1994, a
cominciare dall’ordinanza n. 340/2000, che ha posto quale criterio fondamentale quello
della garanzia dell’equilibrio finanziario degli enti, di fatto ammettendo che la loro
autonomia regolamentare possa trovare maggiori o minori spazi (rispetto alle ingerenze
del legislatore) a seconda della necessità di preservare e mantenere in bonis le relative
gestioni economiche.
Da ultimo, la sentenza n. 7/2017 ha confermato il predetto orientamento, rafforzandolo,
attraverso l’affermazione di un limite fondamentale, non al potere regolamentare degli enti
privatizzati, bensì al potere normativo dello stesso legislatore, laddove quest’ultimo non
può spingersi fino a contraddire sé stesso, vanificando le finalità di un sistema
previdenziale da esso stesso prescelto (109).
Una delle questioni (irrisolte) dalla giurisprudenza costituzionale attiene alla natura
giuridica degli atti normativi emanati dalle Casse privatizzate, ma, da una lettura d’insieme
degli approdi della Corte, si potrebbe dedurre la necessità di distinguere a seconda del
fatto che le delibere (a contenuto normativo) emanate dall’ente previdenziale siano volte a
regolare la propria struttura organizzativa e il proprio funzionamento oppure a regolare il
rapporto contributivo e previdenziale con i propri iscritti; ove nel primo caso gli atti
avrebbero natura privatistica, mentre nel secondo caso avrebbero natura pubblicistica.
Sul punto, una qualche risposta è ricavabile dalle sentenze di legittimità, anche se occorre
avvertire che le pronunce della Corte di Cassazione che si sono esaminate in punto di
poteri normativi degli enti previdenziali privatizzati avevano come parametro di legittimità
l’art. 3, comma 12, l. n. 335/1995 nella sua versione originaria, prima che il legislatore
intervenisse a rimuovere l’elenco dei provvedimenti adottabili e il rispetto “rigoroso” del
principio del pro-rata (110).
Nel tempo (111), l’orientamento della Corte di Cassazione si è evoluto a favore di un
ampliamento dei poteri normativi riconosciuti alle Casse privatizzate fino ad affermare che
l’art. 3, comma 12, l. n. 335/1995, pur nella sua versione originaria, consentiva, al fine di
conseguire l’equilibrio di bilancio, che le Casse potessero deliberare anche in deroga alle
norme di legge previgenti (rispetto alla privatizzazione), purché nelle materie ivi previste in
maniera tassativa e nei limiti del principio del pro-rata.
Così soprattutto con la sentenza del 2009 (112) si è affermato che con il d.lgs. n. 509/1994
si sarebbe realizzata una «sostanziale delegificazione» da parte del legislatore a favore
dell’ente privatizzato, con conseguente attribuzione allo stesso di un potere normativo
anche in senso abrogativo o derogatorio della fonte di rango primario, purché nel rispetto
dei limiti da essa imposti (che all’epoca erano quelli definiti dall’art. 3, comma 12, l. n.
335/1995) (113), nonché dei limiti costituzionali. Di fatti, una sentenza di poco successiva a
quella da ultimo citata (114) aveva stabilito che così come sussistono dei limiti costituzionali
al potere legislativo, a maggiore ragione essi operano con riguardo ad atti unilaterali degli
enti previdenziali, sia che abbiano natura regolamentare o negoziale, con particolare
riferimento al principio di ragionevolezza, stabilendo che essi non si possono spingere fino
a ledere il legittimo affidamento dell’assicurato in una consistenza della prestazione
pensionistica proporzionale ai contributi versati, nemmeno qualora la misura fosse volta a
preservare l’equilibrio finanziario dell’ente stesso.
A questa impostazione, particolarmente ampia in punto di poteri normativi delle Casse
privatizzate, è seguito un orientamento più cauto secondo il quale il potere regolamentare
di tali enti, seppure ampio, non si potrebbe spingere fino a derogare alle norme di legge, in
quanto ciò non sarebbe espressamente previsto dal d.lgs. n. 509/1994; anzi, proprio per
questa ragione, l’art. 3, comma 12, l. n. 335/1995, che costituisce il riferimento normativo
attraverso cui valutare la legittimità degli atti normativi delle Casse, «ha natura di norma
imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate», come
dimostrato dal fatto che quando è emersa l’opportunità di modificare tale disposizione, vi
ha provveduto la legge con l’art. 1, comma 763, l. n. 296/2006 (115).
Tuttavia, a parte quel precedente, l’orientamento più recente della Corte di Cassazione ha
di nuovo accolto una definizione più ampia dei poteri normativi delle Casse privatizzate
(116), affermando che, in virtù della «sostanziale delegificazione» operata dal d.lgs. n.
509/1994, gli atti dispositivi adottati dagli enti privatizzati hanno natura regolamentare, e
dunque non si tratta di meri atti di autonomia privata aventi carattere negoziale, ma di atti
che entrano a far parte a pieno titolo della gerarchia delle fonti del diritto.
Oltre al riconoscimento espresso dell’esistenza di un’autonomia regolamentare delle
Casse, secondo la ricostruzione della Corte, nel rapporto tra le fonti del diritto, l’effetto
della delegificazione operata dal d.lgs. n. 509/1994 consisterebbe nell’aver attribuito alle
Casse il potere di abrogare precedenti disposizioni di legge; come se la legge di
delegificazione avesse trasferito la sua forza normativa alle norme regolamentari adottate
dagli enti abilitati.
La tesi parrebbe scontrarsi con i principi affermati dalla Corte costituzionale nell’ordinanza
n. 254/2016 (peraltro richiamata dalla stessa Corte di Cassazione) che, pur recependo la
tesi della «sostanziale delegificazione» e dell’attribuzione di un potere regolamentare agli
enti privatizzati, ha affermato di non essere competente a giudicare sulla legittimità
costituzionale di questi atti, proprio in virtù del fatto che essi non costituiscono una
specificazione di disposizioni di legge, in quanto la mancanza uno specifico collegamento
con quest’ultima, non consente di attribuirvi la medesima forza normativa e di poterli
considerare atti aventi forza di legge ai sensi dell’art. 134 Cost. Inoltre, il supposto effetto
abrogativo o derogatorio (alternativa risolvibile solo previa qualificazione della nature
giuridica degli atti normativi delle Casse) della fonte primaria si dispiegherebbe solo nei
confronti degli atti legislativi «previgenti», emanati prima della privatizzazione (nel caso
della Cassa forense, il riferimento è alla l. n. 576/1980 di riforma del sistema previdenziale
degli avvocati).
Gli interventi normativi successivi al 1995 non sembrano avere inciso sugli orientamenti
giurisprudenziali delineati, anzi sembrano averne confermato la validità.
Sugli effetti della riforma dell’art. 3, comma 12, l. n. 335/1995, a opera dell’art. 1, comma
763, l. n. 296/2006, la Corte di Cassazione ha affermato che l’art. 1, comma 763, l. n.
296/2006: a) ha ribadito l’obiettivo, per le Casse privatizzate, di assicurare l’equilibrio di
bilancio e la stabilità delle gestioni previdenziali con riferimento ad un arco temporale di
almeno trenta anni (poi elevato a cinquanta anni dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 24,
comma 24, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214); b) ha facoltizzato tali enti, sulla base dei
propri bilanci tecnici, ad adottare i provvedimenti necessari per la salvaguardia
dell’equilibrio finanziario di lungo periodo, avendo presente il principio del pro-rata (in
relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle suddette modifiche
regolamentari), e tenendo conto dei criteri di gradualità e equità fra le generazioni; c) ha
previsto che sono fatti salvi gli atti e le delibere in materia previdenziale adottati e
approvati in sede ministeriale prima dell’entrata in vigore della presente modifica
normativa (a partire dal 1° gennaio 2007) (117).
Si tratterebbe di una «norma a carattere innovativo» che ha inteso rendere più flessibile il
criterio del pro-rata, bilanciandolo con gli altri due criteri di gradualità ed equità fra le
generazioni, conferendo alle Casse privatizzate uno spazio di intervento maggiore, anche
in considerazione della eliminazione del catalogo chiuso dei provvedimenti adottabili,
ammettendo il sacrificio delle posizioni previdenziali degli iscritti ove ciò sia necessario
per garantire l’equilibrio finanziario dell’ente (118).
La stessa “clausola di salvezza” di cui all’ultimo periodo della norma considerata si pone in
un’ottica di favore per le Casse.
Sulla portata di tale disposizione, si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di
Cassazione (119), tenendo conto del disposto di cui all’art. 1, comma 488, l. 27 dicembre
2013, n. 147 (120).
Prima dell’intervento del 2013, si era affermato (121) che la “clausola di salvezza” non
consentiva di sanare i provvedimenti regolamentari illegittimi, ovvero adottati in violazione
della legge vigente al momento della maturazione del trattamento pensionistico, e,
pertanto, «gli atti e i provvedimenti adottati dagli enti prima della disposizione del 2006
rimangono efficaci e loro legittimità, per i pensionamenti attuati entro il 2006, […] deve
essere vagliata alla luce del vecchio testo della disposizione in quanto normativa da
applicare ratione temporis», mentre, a partire dal 1° gennaio 2007, le precedenti
disposizioni regolamentari «sono valutate avendo come parametro di legittimità il nuovo
comma 12, art. 3, senza necessità di essere reiterate» (122).
Tuttavia, dopo l’intervento normativo del 2013, si era creato un contrasto giurisprudenziale
(123), che le Sezioni Unite hanno risolto dando continuità all’orientamento espresso con la
sentenza n. 24221/2014, e affermando che l’art. 1, comma 488, l. 27 dicembre 2013, n.
147 è una norma di interpretazione autentica volta a chiarire il significato del dettato
normativo dell’art. 1, comma 763, l. n. 296/2006, il quale «attiene alla specifica
determinazione del contenuto del principio del pro-rata rilevante, in relazione al momento
di maturazione del diritto a pensione, prima e dopo l’entrata in vigore della l. 27 dicembre
2006, n. 296» (124).
Pertanto, «per i trattamenti pensionistici maturati prima del 1° gennaio 2007 trova
applicazione la l. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, nella formulazione originaria, che
prevedeva l’applicazione rigorosa del principio del pro-rata» (che, nel caso di specie,
impediva di considerare legittima una disposizione regolamentare volta a introdurre un
massimale al trattamento pensionistico); mentre «per i trattamenti pensionistici maturati
dal 1° gennaio 2007 in poi trova applicazione la l. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 12,
nella formulazione introdotta dalla l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, che
prevede che gli enti previdenziali suddetti emettano delibere che mirano alla salvaguardia
dell’equilibrio finanziario di lungo termine, “avendo presente” – e non più rispettando in
modo assoluto – il principio del pro-rata, tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità
fra le generazioni. Con riferimento agli stessi trattamenti pensionistici maturati dopo il 1°
gennaio 2007, sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale già adottati
dagli enti medesimi e approvati dai ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore
della l. n. 296 del 2006» «a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio
finanziario di lungo termine», così come puntualizzato dalla l. 27 dicembre 2013, n. 147,
art. 1, comma 488 (125).
Dunque, posto che la base giuridica e il parametro di legittimità degli atti normativi della
Cassa è l’art. 3, comma 12, l. n. 335/1995, norma che consente di riempire di significato il
riconoscimento di autonomia di cui all’art. 2, d.lgs. n. 509/1994, si potrebbe ritenere che la
CIPAG sia stata abilitata ex lege, dopo la riforma del 2006, ad intervenire su ogni aspetto
di propria competenza in materia di previdenza e assistenza dei Geometri, purché
sussistano contemporaneamente le due condizioni che, rispettivamente, giustificano e
legittimano questo intervento, anche in senso peggiorativo per gli iscritti rispetto al regime
previgente: si tratta della necessità di tutelare dei livelli di finanziamento e gli equilibri
finanziari del sistema previdenziale di categoria e della necessità di operare un
bilanciamento il criterio del pro-rata, quello di gradualità e di equità tra le generazioni.
Se è vero che tale ricostruzione consente di affermare che sussiste un’autonomia
normativa in capo alle Casse privatizzate, è altrettanto vero che i chiarimenti del
legislatore del 2006 (e del 2013) non sono sufficienti a fugare ogni dubbio con riguardo ai
limiti di quel potere e agli strumenti attraverso cui si può esprimere.
(Ho inserito nel testo Cipag e geometri al posto di Cassa Forense e avvocati)
Queste le conclusioni dell’ultima relazione della Corte dei Conti:
4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La Cassa Italiana di Previdenza e Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti, soggetto
di diritto privato ai sensi del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, ed inserito nell’elenco Istat delle
amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, commi 2 e 3, della legge di contabilità pubblica
del 31 dicembre 2009, n. 196, provvede a riconoscere trattamenti di previdenza e
assistenza nei confronti dei geometri e geometri laureati iscritti all’Albo professionale e dei
loro familiari. I trattamenti erogati consistono nelle seguenti prestazioni: pensioni di
vecchiaia, di anzianità, d’invalidità, di inabilità, ai superstiti (di reversibilità o indirette);
indennità di maternità e provvidenze straordinarie agli iscritti, ai pensionati ed ai superstiti
che vengano a trovarsi in particolari condizioni di bisogno.
Il costo totale (inclusi gli oneri previdenziali e fiscali) per compensi agli organi e indennità
di carica per incarichi specifici è pari a 2.123.511 euro; i compensi per gettoni di presenza
ammontano a 620.558 euro, mentre i compensi per rimborsi e missioni ammontano a
1.385.596 euro. Atteso quanto disposto dalla delibera del Comitato dei delegati n. 1 del 26
novembre 2008, appare opportuno procedere ad una puntuale disciplina della
corresponsione delle varie indennità (svolgimento di funzioni istituzionali, partecipazione
ad organi istituzionali, gettoni di presenza) allo scopo di evitare duplicazioni di trattamenti,
non in linea con il principio generale di contenimento della spesa.
I costi del personale, rappresentato da 129 dipendenti e 4 dirigenti, oltre al Direttore
generale, fanno registrare un incremento, tra il 2018 e il 2019, di 466.371 euro. Il costo
complessivo è di 8.841.553 euro e quello medio è di 65.982 euro.
Dal 2019, per ottenere il previsto trattamento di vecchiaia si richiede il compimento di 70
anni di età e almeno 35 anni di contribuzione (oppure, per la pensione di vecchiaia
contributiva è previsto il compimento di 67 anni di età con almeno 20 anni di
contribuzione).
Per la pensione di anzianità, a regime dal 2020, sono richiesti, invece, 40 anni di anzianità
contributiva e 60 anni di età anagrafica.
Nel 2019 gli iscritti sono diminuiti di 2.880 unità (-2.821 nel 2018 sul precedente esercizio)
e questo risultato conferma, con un calo ancora più significativo (-3,4 per cento sul 2018),
l’andamento già registrato nel 2017 sull’esercizio precedente.
Nel 2018 i pensionati sono cresciuti dello 0,5 per cento (135 unità), mentre nel 2019
l’aumento è stato dello 0,8 per cento (240 unità).
I dati sono in linea con il trend in aumento del numero delle pensioni IVS (invalidità,
vecchiaia e superstiti), incrementato, nell’ultimo decennio, del 19 per cento circa, a fronte
della diminuzione del numero degli iscritti che si attesta, nel medesimo arco temporale, sul
14 per cento. In ragione di ciò è pressoché continua la flessione del rapporto iscritti-
pensionati che passa dal 2,80 del 2018 al 2,68 del 2019.
Il numero delle pensioni (vecchiaia, anzianità, invalidità, superstiti) aumenta, tra il 2015 e il
2019, del 3 per cento. In questo contesto si registra, in misura maggiore rispetto alle altre
tipologie, l’aumento del numero di pensioni di anzianità (+4,3 per cento), mentre le
pensioni di vecchiaia mostrano, in coerenza con il trend degli ultimi anni, una flessione pari
al 3,4 per cento. Gli oneri relativi alle pensioni di anzianità aumentano, rispetto, al 2018 del
4,3 per cento, mentre quelli per le pensioni di vecchiaia diminuiscono del 2,7 per cento.
Sotto il profilo dell’andamento storico, l’onere per le prestazioni pensionistiche IVS è
aumentato, tra il 2015 e il 2019 del 7,2 per cento. Incremento che, tra il 2018 e il 2019, è
passato da 490,692 milioni a 504,197 milioni (+2,8 per cento).
Nel medesimo arco temporale le entrate contributive fanno registrare un aumento del 15,7
per cento, con un aumento tra il 2018 e il 2019 del 6,4 per cento.
Meritevole di sottolineatura è il problema dell’evasione contributiva ancorché, sul fronte
dell’azione di recupero si registri una diminuzione dei valori, da 12,830 milioni nel 2018 a
12,064 nel 2019.Si deve sottolineare, pertanto, la necessità di una costante e attenta
valutazione nel tempo della sostenibilità del sistema, in ragione della tendenziale riduzione
degli iscritti e dell’aumento delle pensioni erogate.
Quanto alla spesa per l’indennità di maternità/paternità corrisposta agli iscritti alla Cassa,
che si attesta, nel 2019, su un importo (1.473.227 euro), deve dirsi che essa è superiore
rispetto al correlato gettito contributivo (842.318 euro), stante anche la diminuzione del
contributo capitario, che passa dai 12 euro del 2018 ai 10 euro dell’esercizio in esame.
Avuto riguardo alle prestazioni assistenziali, le stesse subiscono una flessione pari a
742.050 euro, attestandosi, nel 2019, su 4.361.212 euro. Tale diminuzione consegue
all’attivazione della nuova polizza di assistenza sanitaria integrativa, che incorpora, a costi
ridotti, anche la tutela in casi di non autosufficienza del geometra.
La Cassa ha posto in essere, negli ultimi anni, diversi interventi finalizzati ad evitare un
depauperamento finanziario e patrimoniale, tali da modulare gli elementi costitutivi del
profilo pensionistico secondo le mutate aspettative di vita, ad es. aumentando in alcuni
casi, l’età pensionabile ed introducendo per molte fattispecie il sistema contributivo.
Continua a registrarsi un saldo previdenziale positivo, e, dal punto di vista prospettico, il
documento attuariale disponibile relativo all’arco temporale 2018-2067, stima il saldo
previdenziale in larga misura positivo, ad eccezione del periodo dal 2045 al 2049, ed il
patrimonio in costante aumento.
Si rileva, però, che l’indice di copertura del patrimonio netto rispetto agli oneri pensionistici
correnti continua ad assestarsi sotto il limite delle cinque annualità. Sebbene dalle
valutazioni attuariali emerga la previsione di un rapporto superiore alle 5 annualità già
successivamente al 2021, si invita la Cassa a monitorare costantemente eventuali
scostamenti rispetto alle valutazioni dell’attuario, al fine di porre tempestivamente in
essere ogni eventuale misura correttiva.
Il patrimonio immobiliare della Cassa, al 31 dicembre 2019, è costituito da 71 immobili
(tutti a reddito, ad esclusione di quello adibito a sede Cipag), il cui valore contabile, al
netto degli ammortamenti, è di 190,194 milioni (192,556 nel 2018), con un’incidenza sul
totale delle immobilizzazioni che passa dal 12,7 nel 2018 al 13,7 nel 2019.
Nell’anno in esame si è provveduto a redigere un nuovo piano triennale 2019-2021
(successivamente aggiornato dal Comitato dei delegati con delibera n. 2 del 17 aprile
2019) e a fine 2019 il fondo immobiliare Enti previdenziali è iscritto in bilancio per un
importo di 303,045 milioni di euro, pari all’ammontare degli apporti effettuati.
In merito al patrimonio mobiliare si è registrata la diminuzione delle partecipazioni (da 77
milioni a 76,8 milioni) e delle quote di altri fondi, che passano da 75,7 milioni nel 2018 a
70,3 milioni nel 2019, nonché dei fondi di investimento mobiliari, che da 844,091 milioni
nel 2018 si attestano a 747,577 milioni nel 2019.
L’investimento in fondi immobiliari ha fatto registrare una diminuzione sul precedente
esercizio di 20 milioni di euro, attestandosi a 303,045 milioni di euro (-6,2 per cento).
Il saldo economico 2019 presenta una consistenza maggiore di quello dell’esercizio
precedente, passando da 38,75 milioni di euro a 44,63 milioni di euro ed un risultato della
gestione patrimoniale pari a 25 milioni, superiore a quello del 2018, che ammontava a
16,84 milioni. La gestione previdenziale, invece, chiude con un saldo di 43,41 milioni, in
diminuzione rispetto all’esercizio precedente per 2,7 milioni.
Le previsioni attuariali, in presenza di un nuovo bilancio tecnico per il periodo 2018-2067,
confermano un saldo previdenziale positivo, ad eccezione del periodo 2045-2049, con un
assestamento, nel 2067 su 739 milioni euro circa. Il patrimonio si conferma in costante
aumento per raggiungere, a fine periodo, 15.581 milioni di euro.
A mio giudizio, la delibera non ha minimamente tenuto in considerazione il principio
del pro rata temporis e quindi, sotto questo profilo, appare illegittima e non credo che
potrà essere tranquillamente assentita dai Ministeri Vigilanti.
Nel caso di specie la pensione di anzianità, ristrutturata soltanto nel 2020, è stata abolita e
sostituita dall’anticipazione della pensione di vecchiaia estremamente penalizzante perché
ha previsto una decurtazione al tasso dell’1% al mese dai 60 anni di anticipo ai 67 previsti
con un minimo del 12% e quindi si va da una decurtazione massima dell’84% al minimo
del 12%.
Tale criterio non risponde minimamente ai requisiti di legge che debbono garantire la
gradualità e l’equità tra le generazioni.
La parola passa ora ai Ministeri Vigilanti.
Una cosa mi pare però di poterla dire: se per assicurare l’equilibrio di bilancio si
aboliscono le pensioni si ritorna alla logica di Otto von Bismarck.
Nel caso di specie si è abolita la pensione di anzianità il cui trattamento è determinato
secondo il sistema di calcolo contributivo di cui all’art. 1 della legge 08/08/1995, n. 335 e
successive modificazioni nel rispetto del principio del pro rata in relazione alla anzianità
già maturata alla data del 31.12.2006.
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NOTE:
(108) C. cost. n. 248/1997, op. cit.; In senso critico v. G. CANAVESI, L’incerto destino della
privatizzazione dei liberi professionisti tra «paure» del legislatore e autofinanziamento, op. cit., p.
16; M. SCARPELLINI, La previdenza dei professionisti: incongruenze giuridiche ed equilibrio di
lungo periodo, in RDSS, 2004, pp. 373 ss.
(109) C. cost. n. 7/2017, op. cit., in cui si è affermato che laddove «la tutela degli equilibri finanziari
della Cassa è funzionale alla garanzia delle posizioni previdenziali degli iscritti (art. 38, comma 2,
Cost.)», lo Stato non può spingersi fino ad alterare con norme imperative questo equilibrio.
(110) Sugli orientamenti giurisprudenziali in tema di autonomia normativa della Casse privatizzate,
v. M. RANIERI, Profili giurisprudenziali sull’autonomia normativa degli enti previdenziali dei liberi
professionisti, in LPO, 2010, n. 10, pp. 967 ss.
(111) A partire da Cass. n. 14701/2007, op. cit.
(112) In senso critico, v. A. RICCIO, Fonti del diritto e delegificazione: la Cassa forense ha potestà
normativa in deroga alla legge?, in CI, 2010, n. 4-5, pp. 839 ss.
(113) Cass. n. 24202/2009, op. cit.
(114) Cass. n. 25029/2009, op. cit.
(115) Cass. n. 13607/2012, op. cit.; Cass. n. 24534/2013, op. cit.
(116) Cass. n. 3461/2018, op. cit.; Cass. 10866/2020, op. cit.; Cass. n. 603/2019, op. cit.
(117) Cass. n. 13607/2012, op. cit.
(118) Sulla solidarietà intergenerazionale, v. G. CANAVESI, La dimensione giuridica della
solidarietà intergenerazionale nella prospettiva della casse di previdenza privatizzate, op. cit., pp.
58 ss.
(119) Cass., sez. un., 8 settembre 2015, n. 17742, in LG, 2016, n. 1, p. 91, relativa alla illegittimità
della delibera 28 giugno 1997 del Comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza e
assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali che aveva introdotto un massimale
pensionabile.
(120) «L’ultimo periodo della l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 763, si interpreta nel senso
che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma
763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della l. 27 dicembre
2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare
l’equilibrio finanziario di lungo termine».
(121) Cass. 18 aprile 2011, n. 8847, in LG, 2011, n. 7, p. 740, con nota di C.A. GIOVANARDI, G.
GUARNIERI, G. LUDOVICO, G. TREGLIA, Sul criterio del pro-rata la Cassazione difende le
aspettative dei diritti acquisiti, in cui si critica la sentenza nella misura in cui incidendo sul rapporto
intergenerazionale, che è alla base del sistema a ripartizione gestito dalla Cassa, si fanno
prevalere le ragioni delle generazioni più anziane rispetto a quelle delle generazioni più giovani,
altrettanto meritevoli di tutela, salvaguardando l’affidamento dei primi rispetto alle esigenze di
contenimento della spesa.
(122) Cass. 30 luglio 2012, n. 13612, in Dejure.
(123) Cass. 12 agosto 2014, n. 17892, in LG, 2014, n. 12, p. 1130, con nota di C.A. GIOVANARDI,
G. GUARNIERI, G. LUDOVICO, G. TREGLIA, Modifica in peius del calcolo della pensione
retributiva e criterio del pro-rata, in cui si evidenzia come l’attribuzione di una particolare efficacia
al criterio del pro-rata pregiudichi gli effetti delle modifiche introdotte dalla Casse al fine di garantire
il proprio equilibrio finanziario. Contra Cass. 13 novembre 2014, n. 24221, in MGC, 2014.
(124) Cass., sez. un., n. 17742/2015, op. cit.; da ultimo, v. anche Cass. 08 aprile 2019, n. 9746, in
Dejure, in cui si afferma che «la garanzia costituita dal principio cd. del pro rata […] ha carattere
generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della
quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione
temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa
regolamentare delle Casse. L’art. 1, comma 763, della legge n. 296 del 2006, ha sostituito il
concetto di pro rata di cui al citato art. 3, comma 12, con un concetto meno rigido […] Il criterio del
pro rata è, dunque, stato reso flessibile e posto in bilanciamento con i criteri di gradualità e di
equità fra generazioni consentendo alla Cassa, solo dalla data di entrata in vigore della norma, di
adottare delibere in cui il principio del pro rata venga temperato rispetto ai criteri originali di cui alla
legge n. 335 del 1995». V, anche, Cass. 7 gennaio 2019, n. 133, in Dejure; Cass. 10 dicembre
2018, n. 31875, in LG, 2019, n. 3, p. 313; Cass. 6 novembre 2018, n. 28253, in Dejure; Cass. 28
settembre 2018, n. 23597, in Dejure.
(125) Sull’interpretazione giudiziale del principio del pro-rata, v. G. CANAVESI, Principio del pro-
rata o diritti acquisiti nelle casse di previdenza dei liberi professionisti?, op. cit., in cui si evidenzia
come il principio del pro-rata non debba essere inteso come garanzia dei diritti quesiti.